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sabato 26 novembre 2016

Fidel Castro e lo sport

Lo sport “diritto del popolo” è stata una delle chiavi della vita politica di Fidel Castro: un argomento, un settore cruciale sul quale sono stati scritti anche vari libri, come il più diffuso “Fidel e lo sport”. Del resto, il popolo cubano che dal 1959 ha lottato contro il colosso americano (che ha sempre stritolato l’economia dell’isola caraibica attraverso l’embargo scattato dopo la Rivoluzione) non poteva che trasformarsi in un popolo di lottatori. “È morto Fidel? La domanda è valida, ma non abbiamo la risposta”. Negli ultimi anni le voci si sono rincorse tante volte, ma Fidel appariva sempre, soprattutto in quelle “Riflessioni” che scriveva settimanalmente su “Granma”.


SPIRITO RIBELLE — Non è nato politico ma ha avuto un “carattere ribelle” fin da piccolo. Così si descriveva nella sua autobiografia dove confessava anche di essere stato più bravo in matematica che in grammatica e poi la sua passione per le armi, che imparò a usare fin da giovane. In “La vittoria strategica”, Castro scrisse: “Non sono nato politico, anche se da piccolo ho visto dei fatti che, scolpiti nella mia memoria, mi hanno aiutato a capire le realtà di questo mondo”. Raccontava anche la fame che aveva patito: ”Ho conosciuto la fame credendo che fosse appetito” nell’abitazione di una maestra dove era stato mandato all’età di 6 anni, a Santiago de Cuba. A 8 “mi sono ribellato in maniera cosciente per la prima volta in vita mia”. Come? Decise di non mangiare perché era stato portato nell’internato della scuola cattolica La Salle, dove a 11 anni picchiò uno dei sacerdoti. Quando finì il liceo a 18 anni, era “sportivo, alpinista, appassionato di armi e buon studente”, scriveva. ”Nonostante le mie origini (borghesi), avevo un concetto marxista-leninista della nostra società”. Fidel affermava poi che “ero più bravo in matematica che in grammatica” e che decise di studiare Legge perché “discutevo molto”. In quella facoltà visse esperienze che gli sarebbero servite per il resto della sua vita, a causa del “carattere ribelle” ha ”fatto fronte al potente gruppo che controllava l’università” pistola alla mano.
TELESPETTATORE OLIMPICO — Sino ai Giochi di Rio, Fidel ha sempre vissuto in diretta le vicende sportive dell’isola, soffrendo terribilmente per le fughe dei suoi campioni, per la diaspora nel baseball, per quelle squadre-modello (come nella pallavolo) che prima dominavano e adesso faticosamente partecipano ai grandi eventi. La boxe, ai Giochi 2016, non lo ha tradito, ma Cuba è ugualmente rimasta lontana dal quinto posto assoluto nel medagliere colto a Barcellona 1992. ”Non perdo una gara olimpica in televisione, dai pesi al taekwondo, dal ciclismo al volley, tutto lo sport mi piace. Anzi, è nello sport che avrei dovuto dare il meglio di me, non in politica...”, diceva con la solita verve e oratoria straordinaria il Comandante Fidel, che seguiva gli eventi soprattutto attraverso il figlio prediletto Tony, per anni medico della nazionale di baseball.